Parlare – e scrivere – di meditazione non è facile.
La parola stessa, nella sua espressione italiana, ci allontana dal significato orientale: con meditare intendiamo approfondire, ragionare, sviscerare un argomento. Pensiamo a quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire: “medita su ciò che hai fatto”.
La meditazione in un’accezione orientale è altra cosa, ma anche in tale ambito esistono numerose pratiche molto diverse tra loro.
L’humus di partenza è filosofico / spirituale: le grandi religioni monoteiste hanno sviluppato tradizionalmente delle strade per entrare in contemplazione con la divinità di riferimento, mentre il Buddhismo (che non prevede una divinità) ha puntato alla vacuità della mente.
Le pratiche sono molto eterogenee: in alcune tradizioni si ripetono mantra, in altre ci si concentra su una candela, si sta seduti a fissare un muro o a percepire le sensazioni del corpo, in altre ancora si cammina.
Tutte concordano però sull’importanza di osservare il respiro naturale senza modificarlo e sul fatto che meditare rientri tra le pratiche ascetiche: rifacendosi all’etimologia áskesis si fa riferimento a pratiche che prevedono un “allenamento” inteso come impegno prolungato.
Per orientarci all’interno di questo territorio sconfinato utilizzeremo la mappa seguente:
Meditazioni con il numero 0 e il numero 1
- 0: non è presente una divinità (M. Buddhista, M. Zen)
- 1: è presente una (o più) divinità: (M. Cristiana, M. Ebraica, M. Islamica, M. Induista)
Concentrazione/consapevolezza
- concentrazione: si allena la mente a stare su un oggetto di meditazione
- consapevolezza: la mente riceve passivamente gli stimoli (interni ed esterni al corpo)
Oggetto di meditazione interno/esterno/sonoro
- interno: la mente si concentra sulle sensazioni corporee, sul respiro, sui pensieri o gli stati emotivi
- esterno: la mente si concentra su qualcosa di esterno (candela, colori, immagini…)
- sonoro: la mente si concentra su un suono che può essere prodotto dal praticante (mantra) o esterno
Pratica meditativa e meditazione
- pratica meditativa: è la tecnica: come addestrare la mente
- meditazione: una volta imparata la tecnica la meditazione è la componente spirituale: non esiste pertanto la meditazione “più efficace” in quanto lo scopo della meditazione non è l’efficacia ma conoscersi di più nella propria sfera più intima e profonda.
Negli anni ho scelto di approfondire la meditazione Vipassana, di stampo Buddhista non per una scelta religiosa ma in quanto pratica inclusiva nei confronti di chi è ateo e perché rappresenta la base di un metodo (Metodo Mindfulness) che negli ultimi 40 anni è stato oggetto di numerosi studi scientifici e che è utilizzato in Psicoterapia, Business, Sport e Performance, nella didattica e la cui efficacia è sostenuta universalmente.
La Vipassana è una meditazione molto essenziale ed è caratterizzata da 2 strade:
- samatha: è la concentrazione, la capacità di stare su un oggetto di meditazione (il Buddhismo ne prevede 40)
- vipassana vera e propria: è la consapevolezza, la capacità stare con quello che c’è (sensazioni, pensieri, stati emotivi, suoni, tutto)
Inizialmente è molto probabile che ci si avvicini alla pratica meditativa per raggiungere un obiettivo (gestire le emozioni, migliorare le performance, dormire meglio, migliorare l’attenzione sono i più frequenti) e non si vada oltre.
Può però capitare che il viaggio continui: e allora non si medita più per raggiungere qualcosa, ma solo per il gusto di farlo. E dopo un po’ nemmeno per quello.
Lì inizia il bello.
Approfondimento a cura di Marco Ferrari